Il Santuario
La salita al Santuario
La sparsa popolazione originaria abita quasi tutto in monte,
ed il pellegrino ed il visitatore salendo incontra gruppi di abitazioni fra i
quali passa e da essi continua la salita su strada mulattiera. Il primo
gruppo di case abitate porta il nome di Grappone ed è posto su un breve
ripiano, ed in essa avevano casa e beni i Boggia, Poletino ed i Taroni. Da
questo piccolo ripiano si giunge in breve si giunge al
Cavadino, cioè al nucleo maggiore di abitazioni di tutto il villaggio, con 170
persone che vi dimoravano nel 1893 secondo la visita del vescovo Ferrari, in
confronto a Greppone che allora aveva 51 abitanti. La strada qui passa fra
case e case, allineate a destra e sinistra, e in un piazzaletto trovasi una
chiesa, che volge la fronte ad oriente e che, dalla icona raffigurante Maria e
Giuseppe inginocchiati che adorano il Dio Bambino giacente sulla paglia in
piano, si può ritenere dedicata ai primi adoratori del Redentore. Forse
conserva nulla dell'originaria struttura perchè fu restaurata nel 1842 e poi
nell'anno passato, per iniziativa popolare , fu rinfrescata ed ornata. In essa
si radunavano le donne e i fanciulli per la preghiera serale; in essa si fanno
le esequie funerarie per i morti di questa località. Questa chiesetta servì
per tutte le funzioni parrocchiali opo la triste rotta del Pangino del
1752; allora e finchè non fu riparata la chiesa di S. Quirico il parroco ebbe
ricetto nel palazzo dei Porta, cioè nella villa che anche ora viene chiamata
Castelllo. L'ultima casa a sinistra porta la scritta
"Al Cimitero" ed è proprio da quella che si apre la digradante via
che conduce al Camposanto di là visibile nel suo vestibolo e per i cipressi che
lo adombrano. Ora c'è anche una novità da ammirare sulla fronte della casa che
fa angolo alla detta stradicciuola, cioè un magnifico quadro, affrescato dal
pittore Carlo Mauri, che raffigura la santa Madonna del Carmelo in atto di
consolare le anime che nel purgatorio si mondano per
salire quando che sia fra le beate genti.
Ancora un po' di faticoso cammino, per la scala montante, e si
arriva al luogo che è prestabilita méta di visione e di preghiera. Dalle
ricerche negli archivi vescovili e parrocchiali e dalle note descrittive del
parroco Gio. Batta Durini (1619) risulta che a Pobiano nel 1570 circa dimoravano
parecchie famiglie, cioè un Gio.Antonio Pobiano gli antenati del quale hanno
dato il nome al luogo, e poi i Gilio, i Corti, i Durini, i Taroni, i Peverello,
i Taroni detti Rusconi, i Peduzzi ed altri. Poco dopo deve essere avvenuta una
migrazione, forse per la peste del 1577, ed i rimasti vivi discesero in Cavadino
ingrossando questa frazione. Le case furono abbandonate e senza cura caddero, e
con esse anche una cappelletta ornata da un dipinto quattrocentesco
rappresentante, nella usata figurazione di quel tempo, la S.ma Trinità; ma
anche la cappella, lasciata priva di cure, ruinò lasciando eretto, quasi per
prodigio, il muro con l'affresco, ed anche il povero dipinto deperì sotto la
sferza della pioggia. Passò così un mezzo secolo; ma quando nel 1629, la
popolazione di Urio fu travagliata dalla carestia e dalla pestilenza, ancor
memore delle devozione dei padri, con unanime consenso e contributo, costruì,
sulla metà del seicento, una chiesuola rettangolare per custodire ed onorare e
salvare dalla estrema ingiuria del tempo, il dipinto dell'augusta Triade, cui si
votò. Quel breve dosso non godeva ombra di alberi, o riposo di verdezza, o
sorriso di fiori; ma ora, da appena due anni, la scienza, l'arte e sovrattutto
il generoso amore di ricordi e di fede illuminata hanno mutato fisionomia a quel
luogo al quale accorrono senza dimora le genti che hanno sete dell'infinito.
Così si giunge sul dosso di Pobiano dove una piazzetta
permette la libera vista del Santuario, dedicato da secoli, alla SS. Trinità; e
se la visione è ora libera da ingombri lo si deve alla demolizione di una
casupola rusticana. Prima di arrivare sulla piazzetta però, all'ultima svolta
della via si vede sul muro laterale della chiesa, magistralmente dipinta,
l'immagine del Crocifisso.
Immagine del Crocifisso |
La chiesa di Pobiano |
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Or, ecco il vestibolo, adesso così lindo e piacevole, del
quale i recenti intonachi non nascondono la storia perchè esso è là a
testimoniarla. Quel vestibolo, che non impediva l'ingresso alla chiesa, ente di
diritto pubblico, era di proprietà privata e lo fu fino circa al 1860, quando
del locale sopralzato si fecero due camerette, per comodità degli accorrenti
devoti che vi accedevano, per mezzo di una scala esterna in muratura, e dalle
finestrelle potevano vedere l'interno della chiesa e saziare la loro devozione
alla SS. Trinità. Dalla porta d'ingresso al Santuario, lo sguardo si fissa su
l'unico altare costruito in candido marmo vicentino, sormontato da rettangolare
cornice, dello stesso marmo, che chiude e lascia in vista l'affresco del
quattrocento, figurante la Trinità, dai colori sbiaditi per la ingiuria delle
pioggie.
L'ingresso e sopralzata la
tribuna |
Prospetto della Cappella |
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Quel dipinto è reso venerando dalla leggenda e dalla
tradizione. Una tradizione leggendaria ripete anche adesso che tre secoli
addietro, quando le nevi e la pioggia e la mancata manutenzione hanno fatto
cadere le parti laterali della antica cappella fu trovato integro il muro di
fronte col dipinto, si pensò a miracolo e, per salvare da ruina la veneranda
immagine, gli uomini di allora presero sù quel muro e lo trasportarono nella
chiesa di Cavadino, ma nella notte, all'insaputa degli uomini, quel muro ritornò
a Pobiano. sembra più accettabile la voce che dice che al tempo della peste del
1630, per implorare la cessazione del morbo, i viventi oppressi anche dalla
carestia, abbiano fatto voto di erigere il corpo di chiesa per salvare
l'affresco e rimetterlo in onore; ed infatti il modo costruttivo dei muri è
proprio di quei tempi.
Il quadro della SS. Trinità
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La chiesa dal lato architettonico nulla offre di notevole, ma
coi recenti lavori di restauro è divenuta tanto graziosa e devota così che
tanti particolari invitano a prestar attenzione. Sui muri, a destra e sinistra,
stanno due nobili statue, in legno di Val Gardena che rappresentano Santa Rita
da Cascia e Sant Antonio da Padova. Dai muri laterali pendono due tele, opere
egregie dell'artista Carlo Mauri. Su quella a sinistra è figurata la Beata
Vergine del Rosario, comunemente appellata Madonna di Pompei. L'altra tela, a
destra, vuol ricordare l'effigie d'un antico re di un piccolo stato bretone, S.
Osvaldo.
Di bellezza incomparabile è senza dubbio la riproduzione
materiale di una parte dei lontani Pirenei, dove, con lo sfondo di una grotta
aperta nella roccia posa una statua della Benedetta
Vergine di Lourdes.
La grotta
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